I continui interventi, a volte contenitivi, come la riforma del ’93 (Amato) o quella del 2011 (Monti Fornero), a volte dilatativi, come quota 100 e simili, portano a pensare che la pensione, più che un diritto derivante da obblighi contributivi, sia una elargizione delle casse previdenziali dello stato.
D’altronde che interpretazione aspettarsi da chi gode di benefici e vitalizi economici superiori ai benefici apporti legislativi (senza contare quelli dannosi) prodotti in anni di amministrazione della cosa pubblica? Quindi la pensione, malgrado un lavoratore versi un capitale dal consistente montante contributivo, agli occhi di chi governa, è un premio fedeltà, pertanto non merita una copertura inflazionistica.
Chi scrive, e penso tanti di quelli che leggono, sa bene che i 400.000 € di contributi versati in 42 anni e 10 mesi di lavoro, sono serviti per pagare le pensioni di chi non ha potuto versarli perché chiamato a servire la patria, o perché vittima di datori di lavoro che non li versavano, o beneficiario di leggi anomale che consentivano di percepire la pensione con 15 anni e ½ di contributi, questo lo sappiamo tutti, ma chi ha lavorato e contribuito economicamente a mantenere la macchina previdenziale, merita oggi di vedere ridurre il proprio potere d’acquisto per coprire il fabbisogno di un bilancio dello Stato che vede lavoratori e pensionati come unica fonte certa d’introito fiscale?