A fine giugno appena finto il lookdown ho compiuto un viaggio al mare, in Abruzzo. La prima vacanza dopo la chiusura, il primo soggiorno fuori dai confini regionali lombardi, un’opportunità per mettere a confronto i diversi approcci regionali per la prevenzione del contagio da covid 19.
In Lombardia, seppur con ritardo, il distanziamento sociale alla riapertura è stato subito organizzato in maniera esemplare, più per merito dei vari responsabili della sicurezza che non per le direttive regionali che non hanno modificato una virgola di quanto disposto dal Governo nei vari DPCM (almeno nella pilatesca Lombardia).
Regole tutto sommato semplici: accesso ai supermercati contingentato e guidato, misurazione della temperatura, igienizzazione delle mani, guanti e mascherina. In Emilia Romagna ho potuto constatare un comportamento simile, così anche nelle Marche. Leggermente più permissivi in Abruzzo, dove non ho trovato un posto dove misurassero la temperatura, nemmeno in hotel dove è stata sufficiente un’autocertificazione, mascherine solo nei luoghi chiusi o affollati, niente guanti. Dal 15 giugno anche le altre regioni citate hanno abolito i guanti.
La sorpresa è stata il Lazio di qualche giorno fa. A Roma si respira un’aria strana, la città è semivuota, i varchi alla Zona a Traffico Limitato non sono attivi e non lo saranno sino alla fine di agosto. Come se la città fosse chiusa per ferie. In Trastevere i locali sono desolatamente vuoti. La tanto simpatica ed economica trattoria Trattoria Carlo Menta dove di solito i clienti aspettavano il loro turno in strada, alle 14 aveva avuto solo 10 clienti compresi i 4 del mio gruppo familiare.
Parlando con la gente la domanda che sempre mi son sentito porre è stata “ma è stato così tremendo a Bergamo? E’ vero quel che hanno raccontato giornali e TV?”. Non ho mai avuto tanti interlocutori e tutti con la stessa domanda.
Ebbene si, a Bergamo e provincia è stato terribile, forse anche più di quanto è stato raccontato. La gente prendeva la strada dell’ospedale e se ne perdevano le tracce.
Ma a Bergamo e provincia metà della popolazione era assistita dall’altra metà di popolazione che lavorava per loro, anche in maniera volontaristica. Bergamo non versa acqua sotto forma di lacrime ma di sudore, e più si suda più si è contenti. Non potendo lavorare in tanti si sono scoperti volontari. I famosi ragazzi senz’arte ne parte si son scoperti fattorini tuttofare, accanto a padri, madri, zii e nonni. Si tutti si son dati da fare in una regola silente di buon vicinato. Se l’intensità della pandemia riscontrata a Bergamo fosse avvenuta a Roma, sono propenso a pensare che metà della popolazione avrebbe sbranato l’altra metà.
Se al nord un caffè ora costa 10 centesimi in più, a Roma l’ho pagato 2 €, non in via Veneto ma in un quartiere popolare come Trastevere, frequentato da pensionati. Un modo subdolo per salutare il turista con un addio e non un arrivederci. Se uno mi fa pagare il 10% in più un caffè è certo che settimanalmente da me incasserà il 18% in meno di prima della chiusura, domanda ed offerta devono incontrarsi su una base di reciproca soddisfazione, o addio fiducia. Se me lo fa pagare il doppio uso Facebook e TripAdvisor e WordPress per avvisare gli amici circa i locali da evitare.
(da appunti del 29/07/2020)