Quel mattino di 55 anni fa avevo la tremarella, era la mia prima vaccinazione. Avevo notato da tempo che sulla spalla destra dei grandi c’era un disegno sferico che sembrava un sole con tanto di raggi, a quasi tutti avevo chiesto cosa fosse, era il segno della vaccinazione contro il vaiolo. Ricordo uno zio con la faccia tutta butterara da crateri, aveva avuto il vaiolo da piccolo, era lo zio che mi faceva più ridere con le sue battute. Mi chiedevo se il vaiolo fosse veramente qualcosa di grave visto che le persone che lo avevano contratto erano allegre.
Ma che quel mattino nell’ambulatorio medico io avevo mal di pancia. Di li a poco sarei andato a scuola, lo ricordo bene, le mie gambe e le braccia avevavo la pelle rattrappita di brividi, la pancia doleva di crampi ma non dovevo andare in bagno e quando il dottore, con un pennino, mi fece l’incisione sulla spalla, girai la testa dalla parte opposta strizzando gli occhi. Poi per giorni l’incisione fu coperta da un cerotto, non potevo fare il bagno al mare e quando il cerotto fu tolto c’era una piccola traccia rosea, era piccina piccina, non come quella degli zii o di pà e mà: chissa se sarebbe stata efficace lo stesso.
Qualche anno dopo a scuola fui vaccinato contro la poliomelite, non dovetti togliere il grembiule e tantomeno la maglietta, niente mal di pancia, il vaccino antipolio veniva somministrato su una zolletta di zucchero dove disegnava un piccolo alone rosa. Sangue di scimmia diceva qualcuno, ma Salvatore e Pippo non fecero la vaccinazione, zoppicavano entrambi e uno, credo Pippo, portava gli apparecchi e si muoveva a scatti. Gli apparecchi più avanti avrei saputo che si chiamano tutori.
Tra una vacanza scolastica e l’altra, in quei primi anni di scuola, capitava anche di andare a trovare a casa qualche bimbo che aveva contratto la rosolia, la varicella o il morbillo. Non era una visita di cortesia vera e propria, serviva per evitare di perdere giorni di scuola: meglio contrarre le malattie esantematiche e immunizzarsi durante le vacanze che non a ottobre o novembre.
Queste ultime erano delle arcaiche vaccinazioni, una pratica delle campagne dove si allevano le mucche, difatti il termine vaccino deriva proprio da vacca e fu il riconoscimento di Pasteur alle ricerche e agli studi del medico inglese Edward Jenner che focalizzò la relazione tra i contadini, che avevano contratto il vaiolo bovino durante la mungitura delle mucche, e il fatto che superata la malattia non si ammalavano della variante umana del vaiolo. Jenner nel maggio del 1796 iniettò del materiale preso da una pustola di vaiolo bovino contratto da una giovane donna, ad un ragazzo di 8 anni. Dopo alcuni mesi il ragazzo venne nuovamente inoculato quest’ultima volta con il vaiolo umano, ma non successe nulla. Jenner giunse alla conclusione che qualcosa nel corpo del ragazzo lo preservasse dal contagio, anche se non seppe identificare cosa, con precisione. Da notare che già Tucidide nel 429 a.C. aveva notato come la peste non colpiva una seconda volta chi ne fosse guarito.
Ogni tanto girano notizie demonizzanti sulle vaccinazioni, come fossero basi di contagio e non di prevenzione, rimettere i piedi per terra e riconoscere alla medicina alcuni meriti sarebbe buona cosa, specie quando si tratta di prevenire le epidemie.