Di deflazione me ne sono occupato più volte, già quando c’erano i segnali ma non veniva ancora riconosciuta come tale. Oggi la bestia nera ci viene somministrata dai titoli di diversi giornali. I prezzi scendono ed è un guaio, ma come dicono gli americani, prima di parlare di economia bisogna mettersi i soldi in bocca. In questo caso può essere salutare, si può vedere il bicchiere mezzo pieno mentre tutti lo vedono mezzo vuoto, il capovolgimento dei dogmi può essere d’aiuto.
Sappiamo tutti che quando i prezzi si mantengono stabili o con una rivalutazione dei prezzi sopra l’1% annuo e buone basi, un’economia viene giudicata in crescita perché sono in crescita gli ordinativi. Viceversa quando i prezzi scendono significa che gli ordinativi sono in calo e quel che si produce non ha acquirenti. Solo che questi ordinativi non riguardano beni di consumo ordinari, per capire occorre pensare a beni che consentono di produrre altri beni, come ad esempio torni industriali, gru, trattori, schiacciasassi, macchinari per la produzione di altri macchinari, ma anche infrastrutture e simili.
Tornando al concreto di tutti i giorni, occorre tener conto dell’esistente. In un commento al mio post dei giorni scorsi, Mariella mi chiede come sia andato il resto del mio viaggio in Sicilia dello scorso giugno. Ebbene quella vacanza non ha avuto niente di particolare se non una constatazione, quella di una regione che economicamente si sta avvitando su se stessa, con un forte divario tra detentori di capitali e produttori di reddito, con una forte connotazione di sudditanza (come la paura del barista di informarsi).
A rinforzare questa mia convinzione un articolo sul Sole 24 ore dell’11 agosto, dove tra l’altro si legge che in Sicilia il reddito medio è passato dai 9833 € annui del 2007 a 9009 € nel 2012, nello stesso periodo i consumi sono passati da 13873 € annui pro capite a 12678 €., in queste cifre si può leggere che il reddito medio pro capite e i consumi hanno subito una diminuzione, come nel resto d’Italia.
Vi si legge pure che nel tempo il divario tra redditi e consumi è costante, con una forbice di oltre il 40%, mentre la media nazionale nello stesso periodo è stata di circa la metà. Per non destare polemiche mi limito al dato nazionale con il 20% di divario tra redditi e consumi: il che vuol dire che un bel 20% di reddito ha provenienza non identificata. Questo non vuol dire che non viene dichiarato, vuole anche dire che appartiene alla riserva di risparmio dei singoli (ma se tutti gli anni intacco i risparmi … ).
Ora lasciamo il carrello della spesa in un angolo, e diamo un’occhiata alle offerte di compravendita di case. Ho notato che anche al sud i prezzi dei beni durevoli come le case siano in calo. Una pacchia per chi ha risparmi da investire e sta al capezzale dell’economia aspettando che i prezzi scendano ancora, solo che quando l’agonia finisce il paziente muore. Occorre dargli ossigeno e vitalità prima che sia troppo tardi, occorrono capitali nuovi, da dove possono arrivare, visto che le risorse disponibili sono depauperate da anni di allegra spesa pubblica? Nel caso della Sicilia possono arrivare da quelli che si sono trasferiti altrove, che han messo da parte qualcosa ed hanno un qualche legame con il territorio. In questi mesi ad esempio ho appreso di conoscenti che vivono e lavorano in Lombardia e che nell’ultimo anno hanno acquistato una casa in Sicilia, niente male acquistare a meno di 700 € al mq, un buon affare per chi acquista ed anche per chi vende, considerando la rimessa in circolazione del capitale è una buona boccata d’ossigeno, che però deve essere accompagnata da nuovi investimenti e non da accumulo passivo, perché in un’operazione così semplice in cui c’è solo un trasferimento di proprietà, c’è anche una movimentazione di soldi nei confronti dello Stato (e quindi anche delle Regioni) rappresentata dalle varie imposte e balzelli che accompagnano una compravendita registrata. Torniamo ora ad allargare l’orizzonte dall’ambito regionale a quello nazionale e quindi europeo. Se due anni fa acquistare un immobile in Italia ad un londinese costava 100 oggi gli costa 80.
A questo punto non rimane che spiegare il titolo del post, perché le argomentazioni sembrano non coincidere. Come dicevo prima è costante nel tempo un divario tra quanto viene dichiarato e quanto viene speso, sappiamo tutti, o così ci raccontano e noi ci crediamo, che i soldi delle evasioni fiscali vanno all’estero. Perché ? La risposta più ovvia è che la tassazione all’estero è più conveniente che non in Italia, ovvero vi è concorrenza fiscale tra gli stati. Oggi cosa può rendere conveniente il rientro dei capitali dall’estero? A parte le agevolazioni elargite in questi anni dai condoni, che non si sa che benefici abbiano portato alla collettività, un buon incentivo al rientro di questi capitali potrebbe essere il mettere in evidenza la convenienza degli acquisti durevoli in coincidenza con il periodo deflattivo. Una ciambella di salvataggio da parte di chi di riffa o di raffa ha portato soldi all’estero. IMU, TASI, TARES permettendo.