Non appena ho visto il volantino che annunciava un’escursione serale sulla neve sotto la luna piena, ho preso la decisione di partecipare. Era una cosa da fare, una piccola avventura da vivere. C’è sempre una prima volta nelle cose, ed in genere è anche quella più emozionante. Ho cullato l’attesa della serata per due settimane, preparativi mentali per le cose da fare e quelle che avrei potuto fare.
Luna piena, in montagna, un dislivello di 600 metri da affrontare, cosa desiderare di meglio?. Le previsioni meteo sino ad una settimana fa segnalavano cielo sereno, quindi luna e firmamento puntellato di stelle. Ma si sa, le previsioni sono solo previsioni, poi madre natura segue le sue strade.
La sera prima lo zaino era già pronto, poche cose indispensabili: un ricambio di biancheria, una camicia di pile, frutta secca, cioccolato, acqua e poi due pesi rivelatisi inutili: macchina fotografica e cavalletto tripode. La sera prima della partenza ho avuto quella febbre che si ha quando si è ragazzini e si parte per avventurose escursioni studiate sulla carta, ho preso sonno pregustando la serata del giorno dopo, tanta era la voglia di avventura. Al mattino nel bagagliaio dell’auto c’era già tutto: zaino, bastoncini e scarponi, in una borsa tutto il ricambio per la serata, perchè non avrei avuto il tempo per passare da casa a cambiarmi per poi andare all’appuntamento, tanto meno potevo andare al lavoro con gli abiti della festa: salopette impermeabile, camicia e giubbino di pile, giacca a vento e guanti, quindi cambio d’abito prima di uscire da lavoro. Fuori tanta neve, in pianura ne viene giù parecchia ma ormai l’idea di andare su sino a Spiazzi di Gromo è più radicata della neve che cade. Poco più di un’ora d’auto e le ciaspole vengono fissate ai piedi. La macchina fotografica con tutti i suoi automatismi risponde male. Qualsiasi impostazione adottata non consente uno scatto equilibrato: manca la luce ed io detesto il flash, la leggera nebbia presente crea un riverbero che offusca i fiocchi che cadono, i tempi di posa lunghi non consentono riprese stabili, 3200 ISO non bastano per ridurre i tempi sotto il secondo. Andrà peggio dopo l’arrivo al rifugio Vodala: la differenza di temperatura tra l’esterno (-10) e l’interno (22 e oltre) fa appannare le lenti dell’obiettivo: ecco l’inutilità di portare l’armamentario appresso. Ma la serata resta indimenticabile. Salire lungo la pista è stato per me faticoso, vuoi l’altezza (tra i 1200 e i 1800 mt), vuoi la ripidita della salita e anche una giornata di lavoro alle spalle, dopo un’ora di marcia ho cominciato a contare i passi. ogni 20/25 passi 15/20 secondi di sosta, anche dopo, una volta dentro il bosco di conifere, il sentiero con i suoi tornantini taglia gambe ha mi ha mantenuto il passo rallentato. Poi una volta su al Vodala, il caldo, il cibo, l’ambiente umano han fatto dimenticare in fretta la fatica. Ambiente umano che dopo la salita affronta la discesa con mezzi diversi: dallo sci (a cui vengono staccate le pelli utili in salita) allo slittino e snowbord portati a spalla, oltre a chi come me è saluto e torna giù con i racchettoni ai piedi.
Un unico rammarico non aver portato una macchina fotografica più duttile, che si adattasse bene al clima non subendo l’effetto delle temperature sulle lenti e sugli specchi: ma ci sarà una ptrossima volta, è stato troppo bello per non ricominciare.