Nel corso degli ultimi anni abbiamo imparato a far la conoscenza di una parola strana, lo spread. Ormai tutti sanno che rappresenta il differenziale tra il rendimento che uno stato deve riconoscere a chi acquista i suoi buoni del tesoro e quello di un altro paese. Come riferimento da anni si prende la Germania, e questo per il semplice fatto che l’economia tedesca è, a detta delle società di rating, cioè quelle che mettono i voti in pagella, la più solida nell’euro zona. Questo ci ha fatto capire che una differenza di tasso d’interesse ampia tra i titoli nazionali e quelli tedeschi significa tassi maggiori per il collocamento dei titoli di stato. Nel caso dell’Italia, ma anche della Spagna e della Grecia, ha significato il rischio di dover pagare interessi molto alti sul prestito. Conseguenza immediata, minori somme da destinare a quello che non si ritiene utile. Infatti se l’interesse da riconoscere a chi acquista, supera il 7% significa che nel giro di 10 anni il capitale raddoppia. In soldoni in 10 anni il debito iniziale rimane uguale e si restituiscono solo interessi, il debito non diminuisce. Per un breve periodo può anche essere sopportabile, se il fenomeno dura a lungo i conti del paese coinvolto saltano.
Perché i mercati si comportano in modo che il guadagno sull’investimento in titoli di stato aumenti? Ecco questa è una domanda che spesso la gente comune si pone e la risposta è delle più semplici, vale a dire gli investitori cercano di portare a casa il massimo guadagno. L’altra domanda è perché le società di rating sono accusate di soffiare sul fuoco del rischio insolvenza degli stati? L’accusa gli è stata mossa anche da alcuni governi. Ma chi si è rivolto alle società di rating per certificare i propri bilanci? Certamente non io o un qualsiasi risparmiatore. Di sicuro viene commissionato dalle banche, dagli istituti di credito e dagli Stati. A quale scopo, se non quello di tranquillizzare i mercati?.
Difatti tutti sanno che le pagelle delle società di valutazione sono rese pubbliche. Un’ulteriore domanda si affaccia, perché rendere pubbliche le informazioni? Per giustificarsi con i propri concittadini elettori o per condizionare le aste? Anche se la prima ipotesi non è da scartare, la seconda più verosimile, se si combina con la prima, completa l’opera..
Sarebbe questo il caso ipotetico dell’Italia, della Grecia o della Spagna, che devono sottostare a esiti mercantili e condizionanti, di società che niente hanno di democratico. Condizionanti perché davanti ad interessi che salgono il debito aumenta. Ci sono altre vie per far diminuire il debito in maniera molto meno dolorosa della terapia d’urto somministrata sinora dai governi? Secondo me si.
Se tutti noi oggi facessimo un’analisi della nostra situazione reddituale e lavorativa al netto dei debiti, nonché delle nostre necessità vitali, di quanto denaro avremmo effettivamente bisogno per poter vivere? Probabilmente non andremmo oltre i 400 € pro capite, mensili. Facciamo finta che ne guadagniamo due o tre volte tanto. A cosa ci serve il surplus di guadagno? Quanto tempo dedichiamo al lavoro per ottenere un surplus che non ci serve per vivere? Di quanto tempo lavorativo necessiteremmo per ottenere il necessario per vivere? La risposta è ovvia, meno della metà.
Se un bambino ci chiedesse “ma chi ve lo fa fare a voi grandi di dedicare tanto tempo al lavoro per poi non avere il modo di gustarvi il tempo libero?” Noi a quel bambino risponderemmo che ci sono altre cose cui bisogna provvedere oltre il mangiare e bere, come la casa dove si abita. E ci fermiamo li, convinti di aver dato una saggia risposta.
Questo sapere che dedichiamo al lavoro molto più tempo del necessario, lo sappiamo solo noi o lo sa anche chi decide i tempi di lavoro e svago della nostra vita? Quello che noi non riusciamo a mettere a fuoco è un’altra condizione, quella che due o tre ore al giorno di lavoro sarebbero sufficienti per vivere, che ne lavoriamo tre volte tanto e che quante più ore lavoriamo tanto più è il guadagno di chi organizza il lavoro, sia privato o Stato. Al tempo stesso le controparti, ovvero i datori di lavoro, non ci chiedono di diminuire le ore di lavoro per allargare la base produttiva e contributiva, ma solo di aumentare la produttività. La famelica voracità del capitale, in un modo o nell’altro riesce sempre a convincerci a lavorare di più. Non importa se a fronte di un milione di occupati ci sono altrettanti disoccupati, occorre convincere chi lavora che questo è indispensabile. Come? Dandogli delle motivazioni, ovvero degli input per continuare a lavorare e, vista l’impossibilità di frustare i lavoratori, occorre far sentire loro il pericolo di una vita grama, magari da disoccupato, con mutui e debiti da pagare.
Ecco la paura sociale ha sortito l’effetto di farci sentire la paura di restare senza lavoro e quindi senza soldi, senza casa, senza macchine, senza pensioni. Se si dimezzasse il tempo di lavoro sarebbero necessari il doppio di occhi e braccia per svolgere le attività che svolgiamo attualmente. La gente che lavora (base produttiva) raddoppierebbe, il debito verrebbe distribuito su una platea più ampia, ma il capitale perderebbe la sua capacità di convincimento nei confronti degli uomini e delle donne che prestano il loro tempo al datore di lavoro.
Maggiore occupazione, minor fatica, maggior tempo a disposizione? No, ci viene detto che no, non occorre maggiore occupazione ma maggiore produttività con meno occupati. Diminuendo gli occupati diminuiscono anche i fondi messi a disposizione per le pensioni, e quanto servirebbe per pagare le pensioni viene utilizzato per le varie casse di integrazione guadagni. L’alternativa prospettata e realizzata sinora, per far diminuire il debito sovrano, è stata quella di aumentare l’età pensionabile e non il numero degli occupati magari diminuendo il tempo di lavoro pro capite e mantenendo su valori accettabili i contributi che lavoratori e datori di lavoro avrebbero l’onere di versare. Con questo meccanismo si è riusciti a far sentire colpevoli gli occupati e inutili i disoccupati, e al momento giusto, in un momento di distrazione di massa, arriva la notizia che con la cura vitaminica BCE, tra un anno potremmo anche farcela. C’è da chiedersi, per far cosa?