Good bank, bad bank

CatturaCerti titoli indubbiamente fanno colore, ma quanti sanno cosa s’intende con bad bank?

Da ragazzino mi piaceva “Good time, bad time” un brano r&r dei Led Zeppelin. Quel bad time indicava un brutto momento  e, con un gioco di parole, anche un tempo da letto, come quello di questi piovosi giorni grigi . C’entra qualcosa la bad bank con il brano menzionato? Si che c’entra, s’intende banca dormiente, un posto dove far confluire tutti i crediti non esigibili in attesa che torni il sole, una banca il cui unico scopo è quello di recuperare i crediti, magari vendendoli a sua volta ad altri che consapevoli o meno se ne assumono il rischio.

Che belli che sono certi titoli, uno non ci capisce nulla, ma nel gioco della catena una parola chiama l’altra, e torna in mente un’altra bella invenzione come  la bad company dell’Alitalia con le perdite che non spariscono e vengono riciclate, spalmate su tutti noi.

Poveri si, ma con braccia forti.

Leggere la Rivoluzione Francese sui libri di storia aveva un che di affasciante. Avevo dodici anni e nella fantasia la storia si mescolava con le immagini viste in qualche film. Che bello vedere la diseguaglianza crollare sotto la forza unita della gente. Il popolo tirava su le barricate e buttava giù i portoni della Bastiglia. Le Coccarde bianche, rosse e blu, il grido libertà, legalità, fraternità. Semi mentali che si confondevano con Rin Tin Tin. Poi rincontrarla ancora sui libri di storia cinque anni dopo, approfondirne gli aspetti che l’avevano fatta scaturire. La filosofia illuminista che pervadeva il tempo. Un dato di fatto restava immutato tra la rilettura dei diciassette anni e quella di cinque anni prima: il terzo stato aveva detto basta, basta alle ingiustizie, alle sperequazioni, ai privilegi della casta nobiliare e clericale, basta con i pochi che detenevano la ricchezza dei tanti. Lo so che è andata diversamente, mi serve solo come elemento collante con quello che, un’analisi di Bankitalia focalizza sulla diseguaglianza che si è generata in Italia nella distribuzione della ricchezza nell’ultimo decennio. Ho appreso dello studio dal Sole 24 ore, titolo  “10 paperoni detengono la ricchezza di 3.000.000 di poveri (basta cliccare sul collegamento per leggere l’articolo).

Certo che se è la Banca d’Italia a mettere il dito nella piaga qualcosa di storto ci deve pur essere. Il fatto ancor più allarmante è che la ricchezza appartiene ai più anziani e non ai giovani. In parole povere è aumentata la ricchezza ma non la sua produzione, il che vuol dire che per il mantenimento di una condizione economica e sociale, è necessario mettere in conto un inevitabile indebitamento e, successivamente, la perdita della ricchezza stessa (svendita).  Si aggiunga al tutto il dato statistico che fissa la vita delle imprese familiari, e della sua ricchezza, a due generazioni. La prima generazione costituisce, fa crescere l’azienda, la seconda l’amministra, la terza la disperde. Ora visto che la percentuale di giovani inoccupati è molto alta, significa che questi ultimi vivono con quello che passano i genitori, rassegnati bancomat casalinghi. Con la dipartita di padri e madri il passaggio dalla cucina alla cantina sarà inevitabile.

Mi tornano in mente certi film con Totò in cui veniva raffigurata una generazione di passaggio che manteneva i titoli nobiliari senza alcun credito sociale, dove il palazzo diventava la gabbia dorata il cui valore era inferiore ai debiti accumulati con la servitù. Si rideva amaramente. Mi serve una ciambella di salvataggio, una speranza per non affogare nel pessimismo. Me la offre Devis Bonanni (alias Pecoranera) che a vent’anni ha scelto di coltivar la terra e di trarne i frutti che offre nelle sue stagioni, se è il caso fai i mercati per vendere i tuoi prodotti, non diventi succube del mercato che stabilisce quanto vale il tuo futuro. Usciti dal gregge, da pecora si diventa montone.

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